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Foto di D Coetzee - Flickr - CC0 1.0 Universal (CC0 1.0) - Public Domain Dedication

Tantissimi anni fa, quando ero un ragazzino, improvvisamente una primavera i miei amici, appassionati pescatori, iniziarono a parlare della comparsa di una lontra nel torrente Tarodine, un affluente del Taro, in Appennino parmense; la presenza della lontra, allora, non era impensabile, ce ne aveva parlato a scuola anche un forestale, come uno dei pochi animali ancora presente nei nostri territori, la cosa peculiare era che quell’esemplare era comparso nel tratto finale del torrente, che scorre dentro Borgotaro, un paesone di 7000 abitanti.

C’era chi la aveva vista rizzarsi in piedi su un sasso, chi sfrecciare rapidissima in un canaletto che portava l’acqua nei numerosi orti che allora si allineavano lungo il torrente.
Io all’epoca iniziavo ad interessarmi alla natura, e ho passato i pomeriggi dopo la scuola in cerca dell’animale, che allora per me non aveva nulla di mitico, ma era un animale nuovo da vedere, in anni in cui c’era ben poco oltre a lepri e volpi da sperare di sorprendere tra prati e siepi.
La lontra non sono riuscito a vederla, anche se le tracce di un suo pasto, il carapace di un gambero di fiume tutto masticato, ero riuscito a trovarlo.
Dopo di allora per molti anni solo notizie funeste, relative alla progressiva scomparsa dell’animale, dal nostro fiume, poi dall’Enza, tra Parma e Reggio, dove alcuni ricercatori lo avevano trovato a fine anni ’80 poco prima di estinguersi; più di recente notizie della sua scomparsa dal Farma – Merse in Toscana, che era considerata una sua roccaforte.

Poi però la fortuna per la lontra, come successo già al lupo, all’aquila reale, al gatto selvatico, allo sciacallo, all’orso sulle Alpi, torna a sorridere.
Dall’Italia meridionale notizie di espansione territoriale; nell’Oasi WWF di Serre Persano, in Campania, la lontra, lì presente, grazie alla situazione particolarmente tranquilla acquisisce abitudini diurne e diventa un soggetto regolare dei fotografi naturalisti affacciati alle feritoie dei capanni; l’espansione della specie verso nord la porta a tornare nelle acque del Sangro, nel Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise; infine proveniente da Slovenia e Austria la specie ricompare nel nord est d’Italia, accuratamente monitorata e studiata.

Da quella mia ricerca infruttuosa, ancora bambino, sono passati 40 anni.
Ho visto da allora tanti animali che erano scomparsi da decenni o da secoli in questi monti, o anche mai stati presenti: il daino, il capriolo, la puzzola, il biancone, l’aquila, il lupo, l’istrice e il cervo, ma quell’animale che viveva a pochi metri dalla mia casa ma che non ero riuscito a vedere mi ha sempre assillato, e il sogno è che un giorno, osservando corrieri piccoli e piro-piro correre sul greto, improvvisamente dall’acqua affiorino le narici, poi gli occhietti vispi nel pelo lucido e bagnato della lontra.

Temevo che questo sogno dovesse rimanere tale: la grande spinta alla riconquista del territorio che sta vivendo la lontra è fortissima, ma non stiamo parlandodi lupi che fanno 50 km in una notte, e l’Appennino settentrionale è lontano dall’Abruzzo, dal Cansiglio, dal Rodano che ad ovest era considerato il limite di presenza della specie.
Ed invece in questi giorni il colpo di scena, la lontra è già al confine italo francese, con un piede in Liguria.

È stato appena pubblicato uno studio di Laurent Malthieux, guardiaparco del Parco Nazionale del Mercantour, che rivela la presenza di una popolazione di lontra europea nel bacino della Roya-Bevera, in territorio francese e (nella parte più a valle) italiano.
La scoperta risale appena all’anno scorso, in un sistema fluviale ben conservato, poco sfruttato se non per prelievo idroelettrico, con una popolazione ittica molto ricca, con trota, scazzone e sopratutto barbo meridionale, una specie considerata chiave per l’alimentazione della lontra in area mediterranea.
La popolazione è stimata tra 15 e 23 individui, ed è stata studiata mediante la tradizionale ricerca di spraint (feci) che in questa particolare popolazione si è scoperto essere posizonati al coperto, sotto ponti, massi a strapiombo, coperture vegetali particolarmente fitte. Lo studio prende in considerazione le possibilità di espansione della specie, e la via verso est sembra promettente.

E noi qui la stiamo aspettando.

Guido Sardella

La pubblicazione è disponibile a questo indirizzo